Dibattiti, libri, siti di informazione, siti specialistici, seminari, webinar, post sui social media, corsi di formazione, articoli, newsletter. Mai l’applicazione concreta di un codice degli appalti era stata preceduta da una così intensa campagna di informazione. L’ho potuta guardare da lontano, senza scrivere una parola negli ultimi cinque mesi, prima per un intervento chirurgico, poi per l’accordo con cui ho lasciato Il Sole 24 Ore dal 1° luglio. Per trenta anni, dalla legge Merloni in avanti, ho seguito ogni giorno l’evoluzione di questa normativa: nei primi tempi ero un navigatore solitario, poi è arrivata la mia squadra di Edilizia e Territorio, poi la compagnia è andata via via crescendo. Un curioso destino a carte invertite: prima voce unica nel generale silenzio, ora il mio silenzio nel grande trambusto.
Ho letto quasi tutto ciò che è stato pubblicato in questi ultimi cinque mesi e ho capito due cose.
La prima è che il codice appalti 36/2023 è diventato un business per molti. Da uomo di informazione dico: meglio così. Più informazione si fa, meglio è. Più sono i punti di informazione, meglio è. E l’informazione ha davvero valore solo se è un business di qualità e si fa pagare.
La seconda cosa è che bisogna accettare il grande caos informativo che la nostra epoca porta come tratto caratteristico dominante. Le migliaia di scritti firmati in questo 2023 da giornalisti e giuristi, molto spesso di valore, hanno avuto il merito di analizzare in anticipo le singole norme e i loro potenziali effetti. Sono stati un fatto nuovo e l’augurio è che servano davvero a una fase attuativa più consapevole e meno strumentalizzabile di quanto avvenne con il decreto legislativo 50/2016. Abbiamo uno straordinario bisogno di stabilità, che le leggi scritte diventino buone pratiche.
Il virtuoso caos informativo crea, tuttavia, nuove esigenze. Se i punti da cui partono le informazioni e le analisi sono migliaia, va benissimo moltiplicarli, dando a ognuno la possibilità di raccontare la propria esperienza e di diffondere la propria analisi. Ma occorre anche uno spazio che li colleghi, che alimenti confronti credibili, che faciliti il confronto fra chi decide e chi opera, che aiuti il lettore nello sforzo quotidiano di distinguere la buona e la cattiva informazione. Il vero rischio è altrimenti un concerto stonato in cui ognuno va, solipsisticamente, per la sua strada.
Il tempo dell’egemonia è finito e anche la costruzione di questa rete di qualità, che non è ancora cominciata, ha bisogno di punti di connessione, di crocevia alimentati dalla qualità. Per questo, alla domanda che mi sono posto ripetutamente in questi mesi, se sia utile aggiungere un’ulteriore voce al coro di oggi, ho risposto, positivamente: così è nato questo “Diario dei nuovi appalti”. Nella consapevolezza che la fase di sperimentazione sarà molto lunga e richiederà la massima capacità di osservazione da parte di tutti, esperti, imprese, professionisti, stazioni appaltanti, regolatori, decisori politici. La collaborazione strategica con il CRESME avvia un primo laboratorio di osservazione che ora dà lo spessore dei dati di mercato e nei prossimi mesi si tradurrà in altre iniziative attente alla necessità di modernizzare il Paese e a un confronto serio sul futuro di questi settori.
L’auspicio per il nuovo codice degli appalti è che, scavallata ormai la data del 1° luglio, la frenesia del commento lasci spazio a un processo di attuazione e regolazione capace di interloquire con chi opera e a una riflessione più pacata in cui il focus sia come agire per applicare al meglio le norme, come utilizzare gli ampi spazi di discrezionalità dati alla pubblica amministrazione per far sì che i principi e gli obiettivi enunciati si trasformino in concreti effetti reali. Più che sui 229 articoli e sui 38 allegati che compongono il codice, l’attenzione deve andare all’azione e alla pratica di chi è chiamato a servirsi di quelle norme.
Bisogna leggere quel che accade con spirito costruttivo, nella speranza che siano lasciate da parte le polemiche – non di rado strumentali – che hanno fatto a pezzi, uno a uno, tutti i codici approvati negli ultimi 30 anni. L’auspicio stavolta è che questo Paese – sotto il vessillo del PNRR – possa maturare a tal punto che, nel rispetto dei ruoli, ognuno concorra all’edificazione di un sistema non solo bipartisan ma in cui si possano riconoscere tutti. Questa fase – con il Governo Meloni – porta in dote al sistema politico italiano un fatto epocale: il superamento anche dell‘ultima conventio ad excludendum. Tutte le forze politiche hanno governato e hanno rivestito ruolo di leadership. Ora davvero l’Italia è di tutti, sia pure con la giusta alternanza fra governo e opposizioni. Tutti dovrebbero responsabilmente contribuire a costruire un sistema condiviso, senza sventolare inutili bandiere politiche quando il vero obiettivo non è fare, ma fare bene.
Nella genesi di questo codice ci sono elementi che depongono a favore di un confronto costruttivo. È nato da un input politico (Governo Draghi e PNRR) largamente condiviso in Italia e con l’Unione europea, è stato scritto grazie a una riflessione seria e approfondita svolta dalla “commissione Carbone” su ogni singola norma, è stato approvato definitivamente da un Governo scelto dagli italiani. Le buone premesse ci sono e le lacune – per esempio l’assenza di un principio di centralità e qualità del progetto – si possono correggere, anzitutto con la buona applicazione e poi, se serve, con le correzioni legislative. A condizione che ora si lavori tutti, laicamente, per fare le cose giuste – tutte le singole cose giuste – al meglio. Proprio per creare uno spazio di confronto che aiuti a far andare le cose (e correggerle ove necessario) lanciamo ora, con il CRESME, questo “Diario dei nuovi appalti” con l’obiettivo di promuovere il confronto fra tutti quelli che possono e vogliono dare un contributo a imboccare la strada della modernizzazione del settore e del Paese.
PERCHE' QUESTO DIARIO
Codice 36, il lavoro comincia ora: attuare bene, osservare, correggere (ma soltanto se è utile)
Dibattiti, libri, siti di informazione, siti specialistici, seminari, webinar, post sui social media, corsi di formazione, articoli, newsletter. Mai l’applicazione concreta di un codice degli appalti era stata preceduta da una così intensa campagna di informazione. L’ho potuta guardare da lontano, senza scrivere una parola negli ultimi cinque mesi, prima per un intervento chirurgico, poi per l’accordo con cui ho lasciato Il Sole 24 Ore dal 1° luglio. Per trenta anni, dalla legge Merloni in avanti, ho seguito ogni giorno l’evoluzione di questa normativa: nei primi tempi ero un navigatore solitario, poi è arrivata la mia squadra di Edilizia e Territorio, poi la compagnia è andata via via crescendo. Un curioso destino a carte invertite: prima voce unica nel generale silenzio, ora il mio silenzio nel grande trambusto.
Ho letto quasi tutto ciò che è stato pubblicato in questi ultimi cinque mesi e ho capito due cose.
La prima è che il codice appalti 36/2023 è diventato un business per molti. Da uomo di informazione dico: meglio così. Più informazione si fa, meglio è. Più sono i punti di informazione, meglio è. E l’informazione ha davvero valore solo se è un business di qualità e si fa pagare.
La seconda cosa è che bisogna accettare il grande caos informativo che la nostra epoca porta come tratto caratteristico dominante. Le migliaia di scritti firmati in questo 2023 da giornalisti e giuristi, molto spesso di valore, hanno avuto il merito di analizzare in anticipo le singole norme e i loro potenziali effetti. Sono stati un fatto nuovo e l’augurio è che servano davvero a una fase attuativa più consapevole e meno strumentalizzabile di quanto avvenne con il decreto legislativo 50/2016. Abbiamo uno straordinario bisogno di stabilità, che le leggi scritte diventino buone pratiche.
Il virtuoso caos informativo crea, tuttavia, nuove esigenze. Se i punti da cui partono le informazioni e le analisi sono migliaia, va benissimo moltiplicarli, dando a ognuno la possibilità di raccontare la propria esperienza e di diffondere la propria analisi. Ma occorre anche uno spazio che li colleghi, che alimenti confronti credibili, che faciliti il confronto fra chi decide e chi opera, che aiuti il lettore nello sforzo quotidiano di distinguere la buona e la cattiva informazione. Il vero rischio è altrimenti un concerto stonato in cui ognuno va, solipsisticamente, per la sua strada.
Il tempo dell’egemonia è finito e anche la costruzione di questa rete di qualità, che non è ancora cominciata, ha bisogno di punti di connessione, di crocevia alimentati dalla qualità. Per questo, alla domanda che mi sono posto ripetutamente in questi mesi, se sia utile aggiungere un’ulteriore voce al coro di oggi, ho risposto, positivamente: così è nato questo “Diario dei nuovi appalti”. Nella consapevolezza che la fase di sperimentazione sarà molto lunga e richiederà la massima capacità di osservazione da parte di tutti, esperti, imprese, professionisti, stazioni appaltanti, regolatori, decisori politici. La collaborazione strategica con il CRESME avvia un primo laboratorio di osservazione che ora dà lo spessore dei dati di mercato e nei prossimi mesi si tradurrà in altre iniziative attente alla necessità di modernizzare il Paese e a un confronto serio sul futuro di questi settori.
L’auspicio per il nuovo codice degli appalti è che, scavallata ormai la data del 1° luglio, la frenesia del commento lasci spazio a un processo di attuazione e regolazione capace di interloquire con chi opera e a una riflessione più pacata in cui il focus sia come agire per applicare al meglio le norme, come utilizzare gli ampi spazi di discrezionalità dati alla pubblica amministrazione per far sì che i principi e gli obiettivi enunciati si trasformino in concreti effetti reali. Più che sui 229 articoli e sui 38 allegati che compongono il codice, l’attenzione deve andare all’azione e alla pratica di chi è chiamato a servirsi di quelle norme.
Bisogna leggere quel che accade con spirito costruttivo, nella speranza che siano lasciate da parte le polemiche – non di rado strumentali – che hanno fatto a pezzi, uno a uno, tutti i codici approvati negli ultimi 30 anni. L’auspicio stavolta è che questo Paese – sotto il vessillo del PNRR – possa maturare a tal punto che, nel rispetto dei ruoli, ognuno concorra all’edificazione di un sistema non solo bipartisan ma in cui si possano riconoscere tutti. Questa fase – con il Governo Meloni – porta in dote al sistema politico italiano un fatto epocale: il superamento anche dell‘ultima conventio ad excludendum. Tutte le forze politiche hanno governato e hanno rivestito ruolo di leadership. Ora davvero l’Italia è di tutti, sia pure con la giusta alternanza fra governo e opposizioni. Tutti dovrebbero responsabilmente contribuire a costruire un sistema condiviso, senza sventolare inutili bandiere politiche quando il vero obiettivo non è fare, ma fare bene.
Nella genesi di questo codice ci sono elementi che depongono a favore di un confronto costruttivo. È nato da un input politico (Governo Draghi e PNRR) largamente condiviso in Italia e con l’Unione europea, è stato scritto grazie a una riflessione seria e approfondita svolta dalla “commissione Carbone” su ogni singola norma, è stato approvato definitivamente da un Governo scelto dagli italiani. Le buone premesse ci sono e le lacune – per esempio l’assenza di un principio di centralità e qualità del progetto – si possono correggere, anzitutto con la buona applicazione e poi, se serve, con le correzioni legislative. A condizione che ora si lavori tutti, laicamente, per fare le cose giuste – tutte le singole cose giuste – al meglio. Proprio per creare uno spazio di confronto che aiuti a far andare le cose (e correggerle ove necessario) lanciamo ora, con il CRESME, questo “Diario dei nuovi appalti” con l’obiettivo di promuovere il confronto fra tutti quelli che possono e vogliono dare un contributo a imboccare la strada della modernizzazione del settore e del Paese.
GS
Giorgio Santilli
Un’altra sentenza contro la legge 49 negli appalti: nel codice ci sono strumenti adeguati per eliminare compensi non equi
Il subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è la “sede in cui misurare l’incidenza in concreto del ribasso operato sulla componente del ‘compenso’ sulla serietà dell’offerta e, allo stesso tempo, sulle soglie ‘minime’ stabilite dalle pertinenti previsioni ministeriali”. Costituisce quindi anche “un presidio idoneo a scongiurare i rischi” paventati dai sostenitori della mancata tutela dei professionisti nell’ambito dei rapporti d’opera professionale in cui essi sono “contraenti deboli”.
La turbativa d’asta non si configura in caso di affidamento diretto (se la Pa non ha reso pubblici i criteri di selezione)
I reati previsti dagli articoli 353 e 353-bis del codice penale (turbata libertà degli incanti e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente) non scattano se non si pongono i potenziali partecipanti nella condizione di valutare le regole che presiedono al confronto e i criteri in base ai quali formulare le proprie offerte: deve infatti escludersi l’esistenza di una gara “allorché sia prevista solo una comparazione di offerte che la P.A. è libera di valutare, in mancanza di precisi criteri di selezione”.
“Limitate appalti integrati e affidamenti senza gara”. Le 44 correzioni proposte dall’ANAC al codice degli appalti
L’Autorità ha inviato il documento al MIT e alla cabina di regia di Palazzo Chigi proponendo 27 modifiche sostanziali, 14 criticità interpretative e 3 disallineamenti testuali. Fra le questioni fondamentali la necessità di aprire nel 2025 una nuova fase della qualificazione delle stazioni appaltanti con particolare riferimento all’attività di esecuzione del contratto. Polemica contro gli enti che non consentono l’accesso di ANAC alle loro banche dati (Durc e titolare effettivo delle imprese). La stessa Autorità segnala l’apertura di una nuova fase di controllo delle Soa.
Webuild: consegnata la prima tratta del raddoppio della linea Fs Palermo-Catania tra Bicocca e Catenanuova
Ad aprile frena la produzione industriale nell’area euro, -0,1% mensile e -3% annuo. Nella UE +0,5% e -2%
Argenta Soa: settore delle costruzioni resiliente, superati livelli pre-Covid. Ma non bisogna illudersi
A2A distribuisce un valore di oltre 1,2 miliardi sul territorio e investirà 1,4 miliardi per potenziare la rete Enel