È sorprendente come il “vulnus del mercato e della concorrenza” imposto dal codice degli appalti con il dilagare degli affidamenti diretti e delle procedure negoziate senza bando, a scapito delle procedure aperte e concorrenziali, sia avvertito a livello territoriale, ancora più che a Roma, come un’ingiustizia e una distorsione a danno delle imprese più sane e strutturate. Un termometro del malessere del tessuto economico-imprenditoriale di cui dovrebbero tenere conto gli uffici del ministero delle Infrastrutture che ieri, lunedì 1° luglio, ha tenuto la prima riunione della cabina di regia sul decreto correttivo del codice (si veda articolo). Il seminario organizzato dall’ANCE Avellino sul codice degli appalti venerdì 28 giugno è stato, lontano dai riflettori romani, un’occasione per tastare il polso di imprese, amministrazioni e professionisti alle prese con l’attuazione del codice 36. “Meno del 18% degli appalti vanno con procedure aperte o concorrenziali – ha denunciato il presidente di ANCE Avellino, Silvio Sarno – mentre le imprese che lavorano scontano gli effetti dei ritardati pagamenti della pubblica amministrazione e del mancato allineamento sulle compensazioni del caro materiali. Combinando questi dati con la nuova qualificazione delle imprese che dovrebbe arrivare a fine anno, il rischio è che, passato il PNRR, solo le imprese meno virtuose ce la facciano a sopravvivere”.
Con la stessa fermezza gli ha fatto eco il vicepresidente di ANCE Campania, Michele Di Giacomo, che ha lamentato, oltre al vulnus della concorrenza, un altro aspetto più volte ribadito nel corso del seminario. “Qualcuno ci dovrebbe spiegare – ha detto Di Giacomo – che senso ha applicare l’offerta economicamente più vantaggiosa ai piccoli appalti”. Più in generale, poi, è arrivata la richiesta, molto forte dal mondo dei professionisti, di una semplificazione molto più ambiziosa dei testi normativi, tanto più che oggi molte categorie, dagli ingegneri agli architetti ai geometri sono impegnati anche sul fronte privato con il decreto salva-casa. Sempre dalle categorie professionali emerge la priorità dell’equo compenso che molti Ordini territoriali degli ingegneri hanno inserito nel codice deontologico per scoraggiare gli iscritti ad accettare parcelle inferiori ai minimi “equi”.
Interessante la proposta di Egidio Grasso, presidente dell’Ordine dei geologi della Regione Campania, di “rafforzare e rifinanziare il fondo rotativo per la progettazione perché solo questo strumento può consentire alle amministrazioni di dotarsi di un parco progetti di buon livello e al sistema di rimettere al centro il tema della progettazione”. A proposito di parco progetti di buon livello, “se ci fosse stato forse non avremmo visto lo svuotamento di cassetti per presentare qualche progetto da inserire nel PNRR”.
Il seminario di Avellino ha evidenziato come il codice degli appalti, che pure – è stato largamente riconosciuto – non ha bloccato il mercato come era successo con le precedenti riforme della legislazione sui lavori pubblici, ha bisogno tuttavia di alcune correzioni di fondo, come sono appunto quelle legate alla concorrenza sotto la soglia Ue, e di molti aggiustamenti, correzioni, integrazioni.
A chiedere una soluzione normativa sull’equo compenso è stata anche Stefania Lup, ingegnere e responsabile della stazione unica appaltante della provincia di Avellino, che nel suo intervento è entrata nel vivo delle criticità che le amministrazioni si trovano ad affrontare sul campo con una carrellata di questioni da chiarire o correggere in corso d’opera. Oltre a una soluzione definitiva all’impasse dell’equo compenso, che oggi crea difficoltà di scelta alle amministrazioni, Lup ha indicato come priorità che “il decreto correttivo dia uno strumento a noi e ai comuni per svolgere procedure aperte”, mentre sul versante della digitalizzazione ha lamentato – lo hanno fatto anche imprese e professionisti – la estrema eterogeneità delle 65 Piattaforme di accesso digitale (PAD). “Sarebbe meglio averne quindici che però rispondano a un modello unico di comportamento”.