IL RAPPORTO ASTRID "LE INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO: INVENTARE IL FUTURO"

“Il codice appalti ha ucciso il PGT, viva il Piano generale trasporti”: se le idee dei Professori tornano dalle chat al dibattito pubblico

Il Rapporto Astrid presentato da Paolo Costa. Riassunto in dodici temi (da mettere in agenda) di una discussione che ha portato molte convergenze e ha posto necessità non trascurabili. Unanimità sulla necessità di una pianificazione di medio-lungo periodo delle infrastrutture di trasporto: il Rapporto propone la metodologia della “pianificazione a ritroso”, fissando prima gli obiettivi “industriali” al 2030, 2040 e 2050 e poi definendo quali sono le opere che consentono di ottimizzare la competitività. I rischi di un dopo-PNRR senza idee e risorse. Le risposte di Rixi – di Giorgio Santilli

La questione nazionale della programmazione delle infrastrutture di trasporto esce dalla riflessione delle chat di professori ed esperti e torna finalmente nel dibattito politico pubblico grazie al seminario organizzato da Astrid di Franco Bassanini per presentare il Rapporto “Le infrastrutture di trasporto: inventare il futuro”, curato da Paolo Costa, con contributi di Damiano De Marchi, Licia Ferranna, Ercole Incalza, Maurizio Maresca, Corinna Nicosia, Pietro Spirito, Gualtiero Tamburini e Francesco Zollino. “Contiamo su un’attenzione del governo a questo lavoro e a questo tema pari a quella ricevuta dal lavoro fatto sulle semplificazioni che è stato ripreso in molti punti dal governo”, ha detto Bassanini.

L’auspicio del “Diario” è anzitutto che si torni ad alimentare un dibattito aperto che seguiremo e cercheremo di valorizzare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Di seguito le principali considerazioni emerse dal dibattito del 23 aprile, riorganizzate per temi, e le valutazioni date (quando ci sono state) dal viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Edoardo Rixi, sui singoli punti.

  1. La cancellazione del Piano generale dei trasporti dal codice degli appalti. L’eliminazione della norma che prevedeva il Piano generale dei Trasporti dal nuovo codice degli appalti (decreto legislativo 36/2023) ha di fatto cancellato ogni “gancio” nell’ordinamento per una pianificazione infrastrutturale di medio-lungo periodo. Su questo punto, sollevato anche dall’introduzione di Paolo Costa, si è registrata una sostanziale unanimità. Per Federica Brancaccio, presidente di ANCE, questo è “un approccio rischioso” perché rende più difficile per le imprese fare una programmazione della propria attività e degli input produttivi necessari (a partire dal lavoro). Come ha sottolineato l’ex ministro Enrico Giovannini, l’unica forma di pianificazione delle infrastrutture che resta – niente affatto di lungo periodo – è l’elenco delle opere prioritarie che dovrebbe essere contenuta, di anno in anno, nell’allegato Infrastrutture del DEF approvato ad aprile. Anche Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea CGIL, ha insistito sulla necessaria di un processo di programmazione stabile nel tempo che, da amante della provocazione, ha tradotto così: “Un Piano generale dei trasporti dovrebbe valere almeno per tre legislature e andrebbe sottratto per un periodo altrettanto lungo alla possibilità per Parlamento e Governo di intervenire a modificare”. La risposta di Rixi sul punto ammette l’attuale carenza di strumenti ma non indica soluzioni a breve e rimanda a una più generale carenza di pianificazione in sede europea. In particolare – dice Rixi – “è vero che gli strumenti pianificatori che abbiamo a disposizione al momento non sono sufficienti, ma questo non vale solo in Italia, vale per esempio anche in Germania e Francia”. Nelle prossime settimane si potrà capire se il governo sia intenzionato nel decreto correttivo del codice appalti (atteso nella seconda metà dell’anno) a resuscitare o meno il Piano generale dei Trasporti. Quella è la prima risposta decisiva.
  2. La posizione italiana in Europa. Se Paolo Costa ha ricordato che oggi le reti TEN sono “il solo quadro di riferimento certo al 2030, 2040 e 2050 anche per il nostro Paese” e ha raccomandato di “coordinare la pianificazione italiana con quella europea”, è stato invece il viceministro Rixi a dare un’indicazione della posizione che l’Italia intende assumere in Europa sul tema della pianificazione delle reti di trasporto. “Quello italiano – ha detto Rixi – è l’unico governo stabile di un grande Paese europeo in questo momento e l’Italia è l’unico Paese europeo a vocazione mediterranea. Questo deve indurci a portare in Europa questioni che solo noi possiamo porre: il sistema dei trasporti europeo ha bisogno di risorse. Vanno ripensati i criteri di pianificazione delle reti TEN, che per altro presentano tempi di realizzazione troppo lunghi. Vanno ripensate le modalità di finanziamento del CEF con risorse che oggi sono del tutto insufficienti”.
  3. Il vuoto dell’ultimo Allegato Infrastrutture al DEF. Giovannini ha criticato le ultime due versioni dell’Allegato Infrastrutture al DEF. “Non solo è rimasto l’unica forma di pianificazione infrastrutturale, ma questa ultima versione dell’allegato al DEF, come quella precedente, non ha neanche l’elenco delle opere prioritarie”. La risposta di Rixi: “Nel DEF manca una programmazione, è vero, in questo momento non siamo in grado di programmare nuove opere. Fino al 2030, però, sappiamo quali sono le opere da realizzare: quelle del PNRR, comprese quelle stralciate ma riprogrammate, e le opere del Piano nazionale complementare (PNC)”.
  4. Il vuoto del dopo-PNRR. È stata soprattutto la presidente di ANCE, Federica Brancaccio, a insistere sulla grande preoccupazione per un’assenza di risorse, di programmi e anche di una direttrice per il dopo-2026. Non basta il Ponte sullo Stretto. Il timore delle imprese è che, finito il PNRR, il settore torni ai livelli di investimenti registrati durante la crisi 2009-2020, per assenza di risorse nazionali e di scadenze cogenti. Mentre – ha attaccato Brancaccio – “le nostre imprese lamentano ancora terrificanti ritardi nei pagamenti”, nonostante gli obiettivi (elusi) del PNRR di pagamenti a trenta giorni. Mario Sebastiani ha invece ricordato come dopo il 2026 “per far fronte al fabbisogno di rigenerazione si renderanno necessari quei capitali privati che hanno mostrato più volte in passato di non disdegnare gli investimenti nei trasporti”. Questo apre un vistoso capitolo sul quadro regolatorio da riformare per favorire il PPP e sulla necessità di adeguare i pedaggi, suddividendoli anche per classi e diversificandoli per giorni e orari diversi. Al tempo stesso Sebastiani ha lanciato – sul fronte pubblico – la proposta di “un accantonamento graduale di risorse in un fondo pubblico”. Due temi, tutta da approfondire, per sprovincializzare un po’ la cassetta italiana degli attrezzi. La risposta di Rixi sul dopo-2026 è la stessa già data a proposito del DEF Infrastrutture: fino al 2030 le opere da realizzare ci sono.
  5. Alcuni errori di pianificazione delle infrastrutture al Sud. Pietro Spirito, già direttore della programmazione Fs e presidente dell’Autorità portuale del Tirreno centrale (Napoli), ha aperto un altro tema: “spendere meglio i soldi per gli investimenti di infrastrutture di trasporto, soprattutto nel Mezzogiorno”. Analisi costi-benefici e non solo. Spirito ha citato tre casi significativi di quelli che, secondo lui, sono errori di programmazione delle future infrastrutture ferroviarie del Sud. “Dobbiamo fare l’Alta velocità ferroviaria fra Salerno e Reggio Calabria? Sì, bisogna farla – si è risposto Spirito – ma non per le merci, che fanno crescere di un terzo il costo dell’infrastruttura senza benefici rilevanti per il traffico. E non con l’itinerario centrale, che buca la Sila, ripetendo gli errori, già fatti con l’autostrada, di lievitazione dei costi e di mancato raccordo con i traffici potenziali”. Seconda questione. “Bisogna fare il Ponte sullo Stretto? Sì, bisogna farlo ma non con un impalcato ferroviario, bensì con un sistema di metropolitana leggera che abbatta i costi”. Terza domanda. “Bisogna fare gli investimenti ferroviari in Sicilia? Sì, ma bisogna farli con linee ad Alta velocità perché se c’è un territorio in cui vale la pena velocizzare lo spostamento è la Sicilia”.
  6. La sindrome di Penelope di Cascetta. Ennio Cascetta ha posto un tema istituzionale. “Dobbiamo riconoscere anzitutto che il processo decisionale di programmazione non funziona. La mia esperienza ministeriale (è stato coordinatore della struttura di missione del MIT, ndr) dice che per arrivare a un risultato in termini di pianificazione occorrono sforzi enormi, mesi e anni di lavoro che vengono poi cancellati in un giorno solo quando arriva un nuovo governo. Non ci sono meccanismi che proteggano questo lavoro svolto faticosamente. È quella che nel mio ultimo libro ho chiamato la tela di Penelope”. Anche il Rapporto Astrid tocca il punto quando dice che non bastano le esercitazioni di pianificazione che pure in questi anni sono stati fatti da varie governi (“Connettere l’Italia” di Delrio-Cascetta o “Mobilità e logistica sostenibili” di Giovannini). Quello che serve – ha ribadito Paolo Costa – è “una visione strategica, sistemica, di lungo termine” e – questo è il punto – “istituzionalmente garantita”.
  7. I rischi della riforma sull’autonomia differenziata. Da più parti si sono denunciati il rischi che la riforma costituzionale delle autonomie differenziate (legge Calderoli) allontani ancora di più la possibilità di una programmazione nazionale raccordata a quella europea: dare alle Regioni più poteri e più competenze, alcune addirittura in via riservata, in materia di programmazione delle infrastrutture di trasporto aumenta il rischio di un’ulteriore frammentazione della domanda pubblica di infrastrutture e complica enormemente il percorso verso una pianificazione nazionale (si potrebbe ricordare la frammentazione e la moltiplicazione di opere prodotta dalla legge obiettivo a seguito delle intese con le Regioni imposte dalla sentenza 303/2003 della Corte costituzionale). La risposta di Rixi a difesa della legge costituzionale: “Non c’è dubbio che serva un riequilibrio costituzionale delle competenze: nel caso di ANAS e FS, per esempio, il contratto di programma definito a livello nazionale decide su opere che hanno una forte valenza regionale e locale su cui è necessario coinvolgere maggiormente le Regioni o, in alcuni casi, lasciare a loro la decisione”.
  8. La questione autostradale. C’è una questione autostradale nel nostro Paese? “Certamente – ha detto Giovannini – c’è la necessità di una riforma delle concessioni”. Non solo autostradali. Ma c’è anche una questione autostradale più ampia, che si compone di vari elementi ed è spesso trascurata nel dibattito pubblico. Anzitutto la manutenzione e l’ammodernamento dell’attuale rete, seconda, per vetustà, solo a quella americana. “Il piano di rigenerazione della rete che il Gruppo Autostrade per l’Italia sta realizzando è necessario, come dimostrano i dati di traffico”, dice Roberto Tomasi, amministratore delegato di ASPI. Ennio Cascetta la prende da un altro lato. “Negli ultimi dieci anni – dice – sulla rete stradale sono crollati nove ponti e si sono verificati nove distacchi delle calotte in galleria. Un dato poco noto e sottovalutato”. La sicurezza delle infrastrutture è un problema nazionale: prima lo capiamo, con le conseguenti decisioni, meglio è. Poi c’è il potenziamento della rete. “È fondamentale – dice Tomasi – perché l’infrastruttura è vitale per l’economia del paese, dalla rete ASPI passa il 70% del traffico nazionale”. Rigenerazione e potenziamento non sono più rimandabili. E si torna alle concessioni. “Si deve partire – dice Tomasi – dalla necessità di ridisegnare i sistemi concessori: la soluzione va ricercata componendo diverse soluzioni, che ribilancino gli investimenti necessari lungo la vita utile delle nuove infrastrutture, individuando soluzioni che non vadano a gravare sul debito pubblico. Bisogna inoltre definire regole funzionali a questa sfida nel solco di continuità, assicurando una stabilità di medio lungo termine, per assicurare che la finanza supporti questa trasformazione”. Ultima sfida culturale che ASPI ha già lanciato e che mette fra le sue battaglie prioritarie: una mobilità su gomma sempre più sostenibile. “Gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e al 2050 – dice Tomasi – si possono raggiungere soltanto intervenendo con una pluralità di soluzioni sui mezzi di trasporto più inquinanti: della gomma non si potrà fare a meno neanche in futuro e deve risultare centrale accelerare gli interventi per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione anche sulla gomma”. Un tema enorme e largamente sottovalutato anche a livello UE, in una ottica di ipervalutazione delle possibilità del vettore ferroviario di spostare quote di traffico a proprio favore.
  9. I campioni nazionali. Forte sintonia, anzitutto fra Tomasi e l’amministratore delegato di Webuild, Pietro Salini, sulla necessità di avere “campioni nazionali” sul fronte dell’ingegneria e delle costruzioni per affrontare al meglio la sfida della realizzazione delle infrastrutture. “Per realizzare opere imponenti, come la Gronda o il Passante di Bologna (300mila veicoli al giorno), serve una grandissima competenza industriale”, ha detto Tomasi. C’è convergenza nel dibattito sul fatto che “negli ultimi decenni non si è investito sulle competenze ingegneristiche e costruttive e oggi ci troviamo ad affrontare un ritardo grave con la necessità di sviluppare rapidamente queste competenze”. D’accordo anche Brancaccio. Ma campioni nazionali significa anche “continuare a investire nella ricerca e nell’ingegneria”, dicono Tomasi e Salini. L’investimento costa, ma è necessario. Salini ricorda che il suo gruppo ha speso 50 milioni “per fare scuole di formazione che produrranno 1.200 lavoratori all’anno, per realizzare le opere del PNRR”. Altro tema: “Nel Mezzogiorno non ci sono aziende che possano realizzare le grandi opere”. E una buona parte del Rapporto – ne ha parlato Gualtiero Tamburini che ha curato questo capitolo – è dedicato proprio alla necessità di costruire le necessarie “competenze industriali”.
  10. Il legame del sistema infrastrutturale con la competitività delle filiere produttive. Il rapporto – ha spiegato Paolo Costa – propone “un esercizio di pianificazione a ritroso, di ‘decide and provide’ fondato su una pre-visione di domanda di trasporto dettata da uno scenario-obiettivo relativo allo stato futuro preferibile (tra i possibili, plausibili e probabili) del sistema economico e sociale che quella domanda esprime”. In questo quadro, le infrastrutture strategiche prioritarie sono “quelle necessarie a mantenere la competitività internazionale dell’economia italiana di oggi (comparto agro-manifatturiero e incoming turistico internazionale) creare quella di domani (economia della conoscenza). Vengono individuate, in particolare, 19 filiere agro-industriali e otto città d’arte come struttura produttiva capace di sostenere una competizione a livello internazionale. Il ragionamento si sintetizza nella domanda: di quali infrastrutture avrà bisogno l’Italia nel 2030, 2040 e 2050? Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea Cgil, è quello che, più degli altri, accetta questo piano di discussione, assicurando che “il sindacato è interessato a parlare di competitività del sistema industriale” e a sviluppare temi, magari scomodi nel dibattito italiano, come il PPP che è strumento per recuperare risorse “su scala europea”. Per Genovesi “la partita del 2030 è già chiusa, dobbiamo decidere come ci regoliamo sul 2040 e sul 2050”. Ma il tema è davvero troppo ampio e decisivo per poterlo esaurire qui.
  11. Il ritorno della golden rule in Europa. Ercole Incalza ha ricordato le prospettive che si aprono con l’introduzione nel nuovo Patto di stabilità e crescita dell’Unione europea della golden rule per gli investimenti. E ha voluto sottolineare che si tratta una vittoria dell’Italia che per prima, ai tempi di Maurizio Lupi ministro delle Infrastrutture, aveva proposto una soluzione di questo tipo. Ora, però, bisogna far pesare in Europa questa “golden rule” per realizzare le nostre reti infrastrutturali e anche come primo tassello per riaprire in termini più complessivi la strategia europea di sviluppo delle reti trasportistiche.
  12. Fare a meno della democrazia? Posizione drastica, e anche provocatoria, quella di Pietro Salini sul tema del rapporto fra opere pubbliche e democrazia. Lo spunto è dato dalla richiesta di informazioni integrative della commissione VIA sul progetto del Ponte sullo Stretto che per Salini sono espressione di “un pensiero inefficace”, ma si allarga fino a criticare pesantemente il débat public e “le procedure che inventiamo per non fare”. “Sarebbe una bellissima sfida quella di restare democratici, ma se vogliamo realizzare le opere che abbiamo programmato questo non è possibile: possiamo sottoporre il Ponte sullo Stretto a referendum?”. Nella produzione della ricchezza – dice Salini – “tecnica e scienza dominano e noi dobbiamo impostare una politica industriale del Paese sulla realizzazione di sfide tecnologiche come quella del Ponte”. Altrimenti – chiude l’ad di Webuild – “la politica industriale diventa fare pizzerie”.

Molti altri temi sono stati affrontati dal Rapporto e dal dibattito del 23 aprile, anche in materia di tecnologia, di ruolo dell’Intelligenza Artificiale, di centralità del Mediterraneo, di ruolo della portualità, della competitività del sistema, ma sarebbe impossibile sintetizzarli qui in un articolo che resta un contributo giornalistico. L’impegno è semmai di fare tesoro dei mille spunti di un lavoro e di una discussione tanto interessanti per tornarci sopra nei prossimi giorni e settimane, magari facendo spazio direttamente alle idee e agli interventi dei protagonisti.

GS

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