IL GRIDO DI ALLARME Di PATRIZIA POLENGHI PRESIDENTE DI CEAS

Il BIM è rivoluzione amministrativa, progettuale e costruttiva: non si può partire dal 2025 senza preparare le PA, alzare la soglia a 5 milioni

di Patrizia Polenghi
Una partenza generalizzata dal gennaio 2025 per tutti i progetti sopra il milione di euro non può funzionare, serve più tempo per diffondere l’innovazione e sfruttarne tutte le potenzialità. Per evitare rinvii che pure darebbero l’idea di una rinuncia meglio restringere il numero di progetti e le stazioni appaltanti obbligate a usarlo. L’evoluzione successiva sarà l’adozione della tecnologia Blockchain

A 13 mesi da quella che dovrebbe essere una vera e propria rivoluzione digitale, ossia l’adozione del BIM in tutte le gare sopra il milione di euro, ci troviamo a fare i conti, ancora una volta, con una corsa contro il tempo.

Prima di capire perché il settore non è ancora pronto per uno stravolgimento di questa portata, è bene comprendere che quando parliamo di BIM non parliamo solo di uno strumento, ma di un approccio alla digitalizzazione che interessa diversi aspetti, sui quali sono presenti non pochi punti interrogativi.

Digitalizzazione, strumenti e stato dell’arte

Parlando di digitalizzazione amministrativa, in primo luogo, intendiamo la gestione della fase di gara e di tutte le fasi di gestione del contratto attraverso strumenti digitali. Qui, la Pubblica Amministrazione si muove a differenti velocità: ci sono enti più efficienti che hanno una totale compliance alle aspettative della norma o che sono in un avanzato stato di evoluzione e quindi nell’arco di pochi mesi/anni raggiungeranno l’obiettivo. Ci sono, però, tante altre stazioni appaltanti che hanno minori risorse di personale o economiche che non sono e non saranno mai in grado di raggiungere un adeguato livello di digitalizzazione amministrativa.

* Patrizia Polenghi è Presidente del Cda di CEAS e rappresentante di OICE per la Lombardia

La norma e la prassi già da anni si muove nella direzione di ridurre il numero delle stazioni appaltanti andando verso un numero più piccolo e qualificato di Centrali di Committenza. Questa è la strada corretta da seguire, forse “allargando un poco le briglie” rispetto alla possibilità per le stazioni appaltanti “efficienti” di svolgere il ruolo di stazione appaltante delegata per amministrazioni più piccole o meno attrezzate.
Il passaggio successivo a questa scrematura, poi, sarà rappresentato dall’adozione di strumenti che permetteranno di accelerare definitivamente il processo di digitalizzazione.

Uno tra questi è sicuramente rappresentato dalla tecnologia Blockchain, che offre la possibilità di costruire registri distribuiti attraverso la raccolta di dati in blocchi, collegati secondo una sequenza temporale. In questo modo le informazioni archiviate, una volta immesse nel registro e validate, sono inalterabili perché ogni nuova informazione è indissolubilmente legata allo storico delle transazioni precedenti, impedendo quindi eventuali manipolazioni di dati.

La Pubblica Amministrazione non potrà che propendere per questa tecnologia, in quanto strumento che massimizza la tutela della stazione appaltante dalle frodi, accelera le procedure e riduce i contenziosi.

Con la Digitalizzazione Tecnica, invece, arriviamo a parlare di BIM. Qui la situazione è molto più differenziata.

I famosi Decreti Baratono (DM 560/2017 e DM 312/2021.) avevano strutturato un percorso per portare la digitalizzazione negli appalti pubblici in modo estensivo. Il nuovo codice (D.Lgs. 36/2023) ha di fatto rimandato tutto il tema della digitalizzazione obbligatoria al 2025 (per adesso), lasciando l’utilizzo del BIM come una prassi facoltativa in questo lasso di tempo.

Tuttavia, pur senza vincoli di obbligatorietà, in questi anni l’intero mondo delle società private di architettura e ingegneria è arrivato ad un adeguato livello di competenza e di utilizzo per le fasi di progettazione, con i progetti delle opere principali (ma anche di molte di taglio medio) che vengono redatti in modalità digitale.

Un elevato livello di maturità che potrebbe continuare a migliorare attraverso l’adozione di altri strumenti, sempre nella logica del BIM visto come un approccio a 360 gradi.

Tra questi, a livello organizzativo, l’adozione di Common Data Enviroment (CDE), potrebbe permettere un’importante evoluzione, garantendo la progettazione e lo sviluppo di servizi attraverso un flusso di dati continui durante tutto lo sviluppo del processo e consentendo l’integrazione degli aspetti principali del Project Management con tutto ciò che riguarda le attività operative.

Possedere e gestire un CDE, significa essere il “Gestore dell’Informazione “e al contempo “Gestore della Decisione”, significa quindi facilitare l’esercizio del ruolo che spetta al Committente, puntando al vero cambio di paradigma potenzialmente associato alla digitalizzazione.

Siamo già pronti per questo cambio di paradigma?

L’ingegneria è però pronta per la fase successiva, ovvero l’affidamento dei lavori, la realizzazione e la predisposizione di un modello digitale as-built?

Con ogni probabilità ancora no: stazioni appaltanti, imprese, direttori lavori, collaudatori attrezzati per lavorare nel mondo BIM sono rare eccezioni piuttosto che la prassi. Inoltre, essendo procedimenti che richiedono la collaborazione di più attori basta che uno di questi non sia “attrezzato” per mettere in crisi l’intero processo.

Nel contesto degli appalti pubblici, poi, ci rendiamo conto che siamo ancora più indietro. In primis troviamo un vero e proprio limite “culturale”: i Decreti Baratono definivano le scadenze, ma anche il metodo che gli Enti Pubblici dovevano applicare per arrivare all’obiettivo e l’art. 3 parlava di piani di formazione, piani di adeguamento delle attrezzature e programmi di adeguamento delle organizzazioni (il “famoso” atto organizzativo). Per arrivare quindi all’obiettivo si sarebbe dovuta muovere tutta l’organizzazione degli Enti Pubblici, cosa ovviamente molto complessa in organizzazioni lente e burocratizzate. Sono quindi state recepite le scadenze (facili da rendere obbligatorie) ma non gli strumenti per raggiungere l’obiettivo.

In questo contesto l’Amministrazione Pubblica, nella sua accezione generale, non è in grado di “pilotare” la digitalizzazione ma la può solo imporre in fase progettuale, che esternalizza totalmente.

L’adozione del BIM in tutte le gare pubbliche sopra il milione nel 2025

Per questi motivi, l’adozione a partire dal 1° gennaio 2025 del BIM per tutti gli appalti pubblici di importo superiore a 1 M€ risulta una indicazione eccessivamente severa, tanto da risultare praticamente irraggiungibile.

Tanto irraggiungibile che lo stesso Ministero starebbe valutando di mantenere la soglia temporale ma di alzare la soglia economica, ovvero applicarlo solo per opere di maggiore dimensione. Infatti, anche interventi di riqualificazione/ampliamento di edifici di dimensione molto ridotta (asili, piccoli uffici pubblici, sistemazioni superficiali di piccole piazze o brevi vie) superano con facilità l’importo di 1 M€ e, per quanto sopra descritto, ben difficilmente si arriverebbe a ottenere un “digital twin” da poter poi utilizzare per la fase di gestione dell’opera, ovvero quello che dovrebbe essere l’obiettivo per le Pubbliche Amministrazioni.

Visto il livello di attuazione del BIM ad oggi raggiunto da tutta la filiera, probabilmente occorre accontentarsi e, vista la scadenza a soli 14 mesi, limitarsi ad opere di taglio medio, ossia superiori alla soglia europea dei 5 M€.

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Il settore delle costruzioni tra Pnrr, bonus fiscali, tassi di interesse, capitale umano e sfide ESG resta il principale motore dell’economia italiana, nonostante cominci a mostrare i primi segnali di indebolimento dovuti a conflitti e tensioni geopolitiche. La fotografia è quella scattata dall’ultimo Report sul 2023 e sui primi mesi del 2024 della filiera delle costruzioni del Centro Studi Argenta Soa, società organismo di attestazione che certifica le aziende per la partecipazione alle gare pubbliche e inviato alle commissioni competenti di Camera e Senato – di Giusy Iorlano
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