La Commissione Europea ha messo in mora l’Italia affinché allinei finalmente la normativa dei contratti pubblici alle direttive europee.
Lo scorso 8 ottobre, infatti, la Commissione europea ha deciso di inviare una terza lettera complementare di costituzione in mora (procedura INFR(2018)2273) a carico dell’Italia. L’infrazione riguarda il mancato corretto allineamento della legislazione nazionale con le direttive UE 2014/23/UE (concessioni), 2014/24/UE (appalti pubblici ordinari) e 2014/25/UE (settori speciali).
L’Italia ha, ora, due mesi di tempo per rispondere e porre rimedio alle carenze rilevate dalla Commissione Europea.
L’azione della Commissione si concentra su specifiche disposizioni introdotte nel Codice italiano dei contratti pubblici, adottato nell’aprile 2023 e nonostante le modifiche apportate a dicembre scorso dal Dlgs. 209/2024 (il cosiddetto Correttivo).
Secondo Bruxelles, infatti, le nuove norme che regolano le procedure di aggiudicazione del finanziamento dei progetti e la divulgazione dei segreti tecnici e commerciali relativi alle offerte nelle gare d’appalto non sono ancora conformi al quadro normativo comunitario.
In particolare, la non conformità investirebbe, tra gli altri, articoli chiave delle direttive come quelli relativi ai principi generali degli appalti (Articolo 18, Direttiva 2014/24/UE), che impongono criteri di trasparenza e parità di trattamento, e le disposizioni concernenti i motivi di esclusione (Articolo 57 della stessa direttiva) e la verifica delle offerte anomale (Articolo 69).
La Commissione ritiene che alcune interpretazioni o specificazioni introdotte dal legislatore italiano limitino l’applicazione piena e uniforme di questi principi. Ad esempio, una regolamentazione troppo restrittiva o ambigua sulla divulgazione dei segreti commerciali potrebbe ostacolare la corretta valutazione delle offerte o la tutela della proprietà intellettuale, mentre difformità sulle procedure di aggiudicazione minerebbero la libera concorrenza.
Due mesi, dunque, per rimediare.
In assenza di una risposta che dimostri l’avvenuto allineamento normativo, la procedura di infrazione proseguirà attraverso i seguenti passi:
- parere motivato: la Commissione può decidere di emettere un “parere motivato”, un documento formale che ribadisce le violazioni contestate e concede all’Italia un ulteriore termine (solitamente due mesi) per conformarsi al diritto UE;
- deferimento alla Corte di Giustizia (CGUE): se il parere motivato resta inascoltato, la Commissione deferisce l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). E, in caso di condanna da parte della CGUE e di persistente mancato adeguamento, la conseguenza più grave è l’imposizione di sanzioni pecuniarie (somme forfettarie e/o penalità di mora) a carico dello Stato italiano.
Ma, oltre alle sanzioni, la non conformità espone l’Italia anche a un rischio significativo di contenzioso nazionale. Gli operatori economici, che ritengono di aver subito un danno a causa di norme nazionali in contrasto con il diritto UE, potrebbero fare ricorso ai tribunali interni, che sono tenuti a disapplicare la norma nazionale a favore di quella europea.
Ci sarà ora un altro Correttivo?
La domanda è lecita.
Considerando la posta in gioco e il termine perentorio di due mesi, potrebbe rendersi necessario adottare in urgenza un nuovo decreto correttivo o un’altra iniziativa legislativa mirata per emendare le parti del Codice dei contratti pubblici specificamente contestate.
L’obiettivo è dimostrare alla Commissione europea l’eliminazione delle carenze prima che la procedura d’infrazione giunga alla fase di parere motivato, scongiurando il rischio di una condanna formale e delle relative conseguenze economiche.
Una cosa, però, è certa: non c’è pace per i contratti pubblici.