La fine dell’equo compenso: prende avvio l’era dell’equo ribasso

di Niccolò Grassi
La parte rimanente, corrispondente al 35% dell’importo complessivo, potrà essere soggetta a ribasso, favorendo in tal modo una limitata competizione tra i partecipanti. Sorgono tuttavia alcune perplessità poiché, ciò che il Legislatore non ha considerato, è che tutt’oggi permangono i dubbi applicativi della L. n. 49/2023 al settore dei contratti pubblici, anzitutto con riferimento all’impatto che tale disposizione ha gestione delle procedure di affidamento.

Il concetto di equo compenso rappresenta un cardine imprescindibile nelle relazioni professionali, soprattutto in ambito pubblico, poiché ha l’obiettivo di garantire una remunerazione adeguata e proporzionata rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto dai professionisti. Si tratta di un istituto introdotto con la L. n. 49/2023 che, in sintesi, non solo mira a tutelare la dignità del professionista, ma rappresenta anche un elemento di equilibrio fondamentale per il funzionamento equo ed efficiente del sistema economico e giuridico, coinvolgendo una pluralità di soggetti, dalle pubbliche amministrazioni agli enti pubblici, fino agli operatori privati che si interfacciano con il settore dei contratti pubblici. Tuttavia, nonostante la chiarezza della legge, l’interpretazione fornita dall’ANAC con la Deliberazione n. 101/2024 suscitò ampie perplessità, soprattutto in riferimento alla flessibilità applicativa del principio di equo compenso, con particolare riguardo ai servizi tecnici.

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Non può, quindi, avvalersi della deroga prevista per le procedure negoziate senza bando
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Un monito che presagisce addirittura possibili contenziosi futuri derivanti proprio da un esercizio non proprio ortodosso della delega.
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